23/11/16

Santo fortunato, ma anche un po' disordinato (Lisbona)



e poi c’è questo santo fortunato, ma anche un po’ disordinato, a giudicare dai libri sulla mensola, pochi eppure messi lì alla rinfusa, appoggiati come capita capita dopo l’uso, con una certa sprezzatura, perché sembrano codici miniati di qualche pregio, e comunque libri sacri, che non meritano di essere trattati così, e non lo meriterebbero nemmeno se sacri non fossero (ma forse tutti i libri sono sacri), che prega davanti a un breviario spalancato su un leggio. Le pagine non stanno ferme, alcune si alzano e lui le legge di sguincio, ma non gli importa, perché le ha recitate tante volte che le sa a memoria e le tiene aperte davanti a sé solo per controllare qualche breve passaggio, o perché il libro è una metonimia per il suo contenuto e lui è davanti a quello che sta pregando, è quello che adora con gli occhi del pensiero. E lui è un bravo santo, e proprio per questo ha la fortuna di un angioletto cicciottello tutto per sé accoccolato sul piano di lavoro del leggio, che gli fermerà le pagine dovessero girarsi prima del tempo e intanto col ditino tiene il segno in un altro libro che il sant’uomo leggerà appena dopo, a meno che non sia lui che intende suggerirgli la meditazione successiva e per questo gli prepara la pagina opportuna. Il bimbo, senza ali, che magari un angelo non è e simboleggia solo qualcosa che al momento non posso né voglio verificare, ha le guance rosse per lo sforzo e la concentrazione; si vede che ci tiene a lavorare bene: forse è al suo primo incarico e vuol fare bella figura, anche se non capisce perché l’hanno mandato lì senza niente addosso. La stanza però è soleggiata, entra una luce calda, che indora tutta l’ampia cella di rimbalzo dal vicino oceano, lungo le cui spiagge, in Portogallo, in questa stagione freddo non fa: anche se questa, comunque, non è una buona scusa per andarsene a spasso nudi. A meno che non sia il bambin Gesù, accorso in prima persona a servire il suo santo prediletto: i Grandi hanno di queste delicatezze (dico i veramente grandi, non le loro infinite parodie). Poi magari sistemerà anche lo scaffale levitando in aria con quei libri sottobraccio, che meno male che non sono troppo voluminosi. Il santo non gli bada, o lo scambia per una pura, e più verosimile (per modestia, non per poca fede), visione interiore: ha un bel volto, rigoroso ma non emaciato. Quasi dolce, anzi. Concentrato, ma senza sforzo. Con naturalezza, piuttosto. Il volto di chi prega amando la preghiera. Il panneggio dell’abito, dal tessuto morbido che senza stropicciarsi asseconda con le sue pieghe i movimenti o le posture del corpo, mi sembra un riflesso, o la traduzione visiva, di quello che sta pensando. Qualcosa di bello, che rasserena. O forse a pensarlo, e a essere rasserenato, sono solo io, che mentre lo guardo ogni tanto volgo la testa verso la finestra e mi sento avvolto dalla stessa luce e dallo stesso calore. 

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