05/08/16

Federico De Leonardis - Racconti immobili




Mi scrive Federico De Leonardis:
Caro Luigi, non ti sembri piaggeria, sono fermamente convito di quanto scrivo. So che, com'è tua natura, ritirerai le tue corna dentro la chiocciola, ma fai lo sforzo di accettare il fatto che qualcuno abbia capito che la tua Cosa ti è vitale. F

Non gli credo. Cioè, sono sicuro che è convinto di quanto scrive, mentre lo sono meno di ciò che scrive, anche se mi piacerebbe. Pubblico sotto la sua responsabilità.
GRAZIE FEDERICO!



Racconti immobili 1

Sto fermo, immobile (almeno cerco di riuscirci), mentre leggo questa trentina di racconti.
Racconti? Improprio. Non sono racconti nel senso usuale della parola. Il titolo, forse per ragioni editoriali, fuorvia. Questo libro non è una raccolta di storie, in un certo senso è un romanzo, ma non nel significato usuale del termine, non c'è nessuna fiction, nessun personaggio a cui succeda questo o quello in una trama, e se qualcosa procede in avanti, alla fine ritorna indietro come attirata da una calamita e riacquista la sua immobilità. Il caput mortuum depositato sul fondo di questo libro raro e mosso appena dal magnetismo della nostra lettura, sale in superficie. Ma lentamente e opacamente, e presto torna a ridepositarsi sul fondo per riapparire in superficie in modo diverso in una lettura successiva: un libro che vale va sempre letto più volte ed ogni volta ne scopriamo qualcosa che non avevamo notato e ci dà la certezza che protegga ben nascosto il suo mistero.
Non sono giochi di parole questi, è proprio quanto succede alla lettura di questo densissimo romanzo. Chiamiamolo col suo vero nome infatti. Già, perché oggi, dopo Beckett, Musil, Kafka, Proust e pochi altri (non sto a far l'elenco, non mi piacciono le classificazioni, ma vogliamo citare David Foster Wallace almeno?), secondo me questo, se non l'unico, è un modo nuovo per non scrivere un romanzo. Scrivendolo. Se mettiamo in fila questi capitoli a volte brevissimi, ci accorgiamo che esiste un filo molto sottile che li lega tutti, come in una collana di perle, alle quali non puoi cambiare posto senza rovinarne la bellezza, un filo che si chiama Luigi Grazioli.
Un'autobiografia allora? Nient'affatto: l'io parlante a volte è al centro della perla, ma non ne è mai il protagonista e quando l'autore usa la terza persona non ci si nasconde dietro. I gioielli di questa strana collana sono di grossezza diversa: apologhi, flash, schizzi letterari, semplici comunicazioni da cartolina (una volta esisteva una letteratura da cartolina e non è un caso che lui vi si cimenti: saluti dalla Cina, da Parigi, da Praga) si alternano a sproloqui lunghissimi dove il punto è una rarità e noi ansiosi lo cerchiamo fra le righe senza successo. Tutto, assolutamente tutto, trova il suo posto preciso nella sequenza. Si pensa a una composizione musicale dove non puoi spostare nemmeno una nota: qui neanche una virgola. E non è un romanzo allora? Bisognerebbe rifondare il termine. Grazioli ci dice che è ora.
Una scrittura faticosa e densissima, orale, ma di un'oralità veramente contorta, piena di riflessioni e autoriflessioni, un avanti e indietro intellettualmente impeccabile che richiede molta attenzione, ma non ti lascia mai a boccasciutta. E non ti lascia a boccasciutta proprio perché ti costringe a un'attenzione assoluta per non perdere la parte di fondo che viene a galla in quel punto. Nel tipo si indovina un certo cinismo: volete leggermi? Bene, son qui per questo, ma alla larga i pigri, la letteratura seria non è per quelli che cercano storie in cui alla fine esci come ci sei entrato: qui si costruisce una specie di pugno nello stomaco che non lascia indifferenti e agisce sulla tua memoria. Lentamente il libro si avvicina allo chevet e ci resta, immobile.
Ma il panegirico non finisce qui, perché se questo scritto avrà avuto (il Futuro anteriore tanto amato dall'autore) un'effettualità, sarà perché sarà riuscito a dare al lettore qualche dritta perché parta nella direzione giusta e non pensi di trovarsi davanti a frammenti di un discorso che non abbia un ordine preciso: ripeto non sono racconti che si possano leggere separatamente dal tutto. La sequenza è importante quanto lo è ciascuno di essi separatamente.
Quindi, per essere precisi, Grazioli ha già fatto un errore, nel titolo: il libro dovrebbe chiamarsi Racconto immobile. E ne sta facendo un secondo: pubblicare sul suo blog  i “racconti” separatamente. Popolo del web, non fatevi fregare, dovete comprare il libro e se proprio siete così sicuri che i tempi debbano far tramontare i libri, almeno un suo e-book (affari vostri se poi lo schermo rimarrà immobile su una pagina e non potrete piegargli un angolo o aggiungere una glossa). Ma noi, l'autore ed io, siamo degli inguaribili passatisti, si sa.
Devo entrare nel merito? Quel minimo per mettere in guardia su come è articolata la sequenza. Attenti: dopo quell'originale introduzione al tutto e a se stesso che è l' apologo dell'Autoentomologo (10 righe! sfido a trovarne nella letteratura una più breve), segue una prima sezione, che va dalla nascita, Genesi, alla morte, Chiamate, con al centro naturalmente la vita, Il raccordo anulare, tre pezzi che come nelle opere antiche (Grazioli ha un'ottima memoria letteraria) riassumono, non tanto brevemente, il contenuto del tutto (viene in mente il Tristram Shandy di Sterne). Le quattro sezioni successive (adesso non starò a tediare il mio lettore entrando nel merito) sono articolate allo stesso modo, dalla nascita alla morte, simmetricamente, come è dell'equilibrio dell'immobilità, per quanto dinamica sia: in qual modo il barocco, del quale la cultura italiana è orgogliosamente pregna (Borromini non sferra spadate solo contro se stesso!), ha tenuto ferma la simmetria rinascimentale? Per quanto balli, lo spazio del grande architetto non ti cade in testa: è immobile (anche lui, anzi prima il suo di quello di Grazioli).
Potrei entrare nel merito di ciascun pezzo,  e sono tentato dalla sua densità, dal fatto di poter estrarre aforismi, epigrafi a molte situazioni, lampi (Orizzontali) di intuizione straordinaria, ma dopo aver suonato questo campanello d'allarme, mi fermo: sarebbe invadere l'autonomia del lettore. Un ultimo consiglio: vada piano, pianissimo: anche leggendo un libro di prosa, e non solo nella poesia, occorre trovare il suo ritmo e adeguarcisi. Non è facile. L'ultimo degli errori che deve fare costui è di darsi alla velocità: il libro ha un suo ritmo, una sua lentezza. Anzi é immobile.


Racconti immobili 2

Racconti immobili è rimasto un'intera giornata sulla mia scrivania (per quelli che amano ancora la nostra lingua, si dovrebbe parlare di compiuteria, se il termine non comportasse una qualche allusione alla compiutezza, che l'aggeggio che ha sostituito la penna o la matita, per sua natura solo loico, non ha: certo Dante non sarebbe contento e la poesia, ancora oggi, gira solo sul legno o in barchetta sull'inchiostro): si muoveva tutto, si apriva a caso qui e là, sembrava volermi dire qualcosa: hai parlato di simmetria, di errori, come se il Grazioli non avesse pensato e ripensato mille volte il titolo da dare a questo suo capolavoro e alla distribuzione a-simmetrica dei pezzi.
Non sono così ingenuo da non averci pensato e ripensato anch'io, di non aver pensato a quella che ritengo una virtù di qualsiasi opera d'arte, il depistaggio del fruitore. Che costui non creda che le cose siano così semplici: ti dico “racconti” per farti credere che il libro ne sia veramente una raccolta, come infatti è, ma è un'altra cosa, una cosa compatta e lo devi scoprire da solo (ma non lo hanno scoperto nemmeno i vari critici e editori [censuro io i nomi L.G.] rifiutandolo perché non era un romanzo, e oggi si sa, vanno solo i romanzi!).
Ma ecco che arriva il De Leonardis a darti una mano lettore e io non sono affatto contento. Non hai letto Una cosa? E ti sembra che oltretutto sia al centro della triade nascita, vita, morte che quello forzatamente inserisce nelle ultime tre sezioni (nella prima, lo ammetto, è evidente)?
Sì caro Grazioli, lo è proprio simmetrica. Te ne darò una prova senza entrare nel merito, come ho già promesso. E' forse possibile invertire la posizione di Telemilù e Quelli che restano, oppure quella de La misura dei passi e di Azione! ? Dimenticare Nagasaki (adesso hai cambiato nome, Luigi?) non è sostituibile con Una cosa e, insieme con Azione, si trova proprio al centro della seconda sezione. Solo che Una Cosa, il vero centro della tua poetica, sempre per la questione del depistaggio, al centro sarebbe stata troppo evidente, troppo banalmente albertiana. Il libro, malgrado il titolo, si muove tutto, borrominianamente appunto. Ecc ecc.
Non  voglio star qui a spaccare ancora il capello in quattro, perché in effetti il libro è molto altro rispetto a una sia pur complessa costruzione architettonica, come deve ogni opera che si rispetti, e se vogliamo dirla tutta, è anche un coacervo di lenti puntate, autopuntate, sullo stesso Grazioli e le mille sfaccettature della sua … ritirata. Dice Moresco, nella quarta di copertina, “tenace, invisibile, irriducibile e mite”, ma fa due errori. Il primo, quello di essersi dimenticato il più importante aggettivo che si attaglia al tipo: cinico, anzi autocinico (ma uno scrittore come lui non si poteva permettere un neologismo così contraddittorio e dopo “mite” oltretutto! Poco prima non parla anche lui di “delicato rancore”?); il secondo è più grave, non accenna alla ritirata. Grazioli è un riccio, più che una chiocciola, si ritira in se stesso tirando fuori gli aculei (non ho parlato di cinismo a caso) e ce li punta addosso se vogliamo toccarlo. E la sua ritirata è secondo me la vera genialata di questo scrittore. Sembra dire, andate avanti voi, ma non nel senso del và su tu che se' valente, come Belacqua. Non si tratta della sottile pigrizia beckettiana o della modestia carteriana o più semplicemente di stanchezza e rinuncia: la sua ritirata è cosciente, l'esatto opposto di quanto oggi succede dentro lo strumento sul quale si scalda Milù, del tuttinprimopiano, è una ritirata faticosa, un lavoro che tiene accese le luci de Le banche del centro fino a tardi, di Attenzioni eccessive verso spazi che non esistono, ma si possono attraversare (e non si trovano dietro l'angolo!). Non è facile sostenere questa ritirata; c'è qualcuno oggi che possa apprezzare il valore di questa forza, di questo coraggio? Dico oggi, proprio oggi?
Grazioli se ne frega e ci volta la schiena. E' proprio, vuole esserlo, una sua Figura.
Purtroppo volta la schiena anche a me che gli ho fatto un cattivo servizio perché l'ho messo un po' in piazza. Ma dimmi, Luigi, come avrei potuto altrimenti se volevo aiutare il lettore? Non mi portar rancore, sia pur delicato, sopporta un attimo e sii ben certo che chi sa leggere, ha ben altro di cui pascersi nel tuo libro: l'ho solo avvertito.



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