23/07/16

Dormire sotto le stelle (ricordi di copertura 19, con compilation e appendice)


Da giovane ho dormito tante volte sotto le stelle. Erano gli anni in cui si poteva ancora fare l’autostop o girare con qualche macchinino, il sacco a pelo e la canadese, sopravvivendo con poco o niente e fermandosi dove si voleva, in campeggio libero o semplicemente gettando il sacco a pelo per terra senza nemmeno montare la tenda. In riva al mare o al Danubio, sul Gargano o nella Foresta nera, tra le vigne del Reno o gli uliveti della Puglia, in un campo di grano appena tagliato (giusto per provare: altamente sconsigliabile), o ovunque ci fosse uno spazio aperto, con la nuda terra sotto e l’universo sopra, per dirla con una canzone di Cat Stevens, a guardar le stelle. 
Il cielo notturno che ricordo con maggiore vivezza è quello che ho visto sulla Sila, o comunque nella Calabria interna, nell’agosto del 1969. Avevo diciott’anni e stavo girando il Sud Italia senza patente, solo con il foglio rosa, con la mia Bianchina: un gruppo di amici e amiche con tre-quattro utilitarie, decidendo soste e percorso man mano che ce ne veniva l’estro, senza discutere (andava bene tutto: c’era tutto da scoprire; l’anno dopo avremmo litigato quasi ogni giorno; poi non ci saremmo visti più: ma proprio più, senza astio né rimpianti).
La sera prima ci eravamo fermati a dormire in quello che poi si sarebbe rivelato il greto di un torrente in secca in Lucania, poco accosto a una strada ampia, appena asfaltata, percorsa da nessuno (tanto che potevamo lanciarci un pallone da un finestrino all’altro stando in due auto una accanto all’altra anche sulla corsia opposta), che correva parallela al litorale, ma non sapevamo quanto prossimo: lo avremmo scoperto il mattino dopo, quando, appena svegli, qualcuno aveva attraversato un boschetto vicino e si era ritrovato su una lunghissima spiaggia sulla quale, sembra inventato, sarebbe passato solo un tizio a cavallo un’ora dopo e poi, fino alla nostra partenza, più nessuno. Poi ci eravamo inoltrati tra i monti della Lucania, fermandoci in un posto dove c’era una fonte di pietra alla quale ci avrebbe poi raggiunto un contadino, il padrone del terreno, che si sarebbe fermato a chiacchierare a lungo con noi, come con una specie aliena, offrendoci della frutta; e infine ce n’eravamo andati verso la Calabria, sempre avanti, fatto il pieno nel tardo pomeriggio, salendo tra strade di montagna senza illuminazione, sperando di incontrare una trattoria o una pizzeria (sì, pensavamo proprio a una pizzeria), senza trovarne nessuna, e anzi a un certo punto senza incrociare più nemmeno un paesino, o un agglomerato di case, qualche segno umano... e decidendo di fermarci in mezzo a quel deserto non abbiamo mai saputo dove, su un prato curvo fuori da un bosco, qualcosa che ci parve la cima spelacchiata di una collinetta, e di mangiare lì quello che avevamo di scorta, scatolette, frutta, e forse, ma non lo posso giurare, facendo la pastasciutta con un fornelletto da campo.
Qualcuno intanto montava le tende, anche se la notte nonostante l’altezza era tiepida; poi, mentre si mangiava, con attorno tutto quel buio e quel silenzio interrotto da qualche verso o rumore ogni tanto, o fruscii e lamenti che sembravano ululati, di lupi, come no?, qualcuno ha cominciato a raccontare storie di paura prese dai libri che aveva letto o da qualche film, o abborracciate lì sul momento. E così abbiamo continuato dopo cena, spente le pile, non ricordo se con qualche sigaretta accesa ma direi di no, perché mi pare che nessuno di noi fumasse (possibile?), fino a notte inoltrata, sdraiati sui sacchi a pelo fuori dalle tende, o direttamente sull’erba, con tutto quel cielo infinito sopra e nient’altro.
Le ragazze fingevano di avere paura e si stringevano al loro vicino, casuale o preventivamente scelto, con femminile sagacia; alcune forse avevano paura davvero (erano un po’ sceme) e qualcun altro continuava a raccontare, a inventare, spinto dalle reazioni degli ascoltatori, con accanto nessuno. Finché tutto non è finito, alcuni sono entrati in tenda, altri si sono inoltrati nel buio e qualcuno è rimasto lì a guardare le ombre nere degli alberi e delle montagne attorno, e tutte quelle stelle, tantissime, come raramente ne avrebbe viste poi nella sua vita, lontanissime e vicinissime, che sembravano davvero pioverti addosso, avvolgerti con la loro luce, come a trasfigurarti nel buio, incantevoli, meravigliose, come le stelle sono sempre, anche quando sono nascoste, invisibili, ritratte nel loro pudore, che a noi spesso manca.

(Colonna sonora di quel periodo, con qualche apporto successivo)

 

Jefferson Starship - Have you seen the stars tonight

https://www.youtube.com/watch?v=WaRlmClmEy8

 

Pink Floyd - Interstellar overdrive

https://www.youtube.com/watch?v=4o2sA0vpA-4

 

Rolling Stones - 2000 Light Years From Home

https://www.youtube.com/watch?v=U6o2ZpHZWos

 

Cat Stevens - The boy with the moon and star on his head

https://www.youtube.com/watch?v=Bdua9Vj1LZA

 

Paul Simon - The boy in the bubble https://www.youtube.com/watch?v=Uy5T6s25XK4

 

Neil Young – Natural beauty

https://www.youtube.com/watch?v=-Y1IF8A9XN4

 

Van Morrison – In the garden

https://www.youtube.com/watch?v=Ku5gd8Gv3Bs

 

Nick Drake – Pink moon

https://www.youtube.com/watch?v=aXnfhnCoOyo

 

Pierre Akendengue – Silence

https://www.youtube.com/watch?v=32RU0TTIH5s

 

Alexi Murdoch – Crinian wood

https://www.youtube.com/watch?v=FAYJc0zSTtE

 

 

L’esperienza dell’immensità inimmaginabile dell’universo stordisce, la percezione che la trasmette, il cielo stellato sopra di noi, incanta, disorienta e appaga. La terra sotto di noi, la natura, impaura e rasserena. Nessuna sensazione è pura. Le proviamo insieme. Tutto ci avvolge e accoglie. Ci piomba addosso e ci protegge. Ci mostra il nostro niente e che questo niente è nel tutto, è tutto. È questa la loro forza.

Raramente si capisce, ma quasi sempre, se si presta attenzione, se si libera la testa, se si guarda e basta, si avverte. Senza dubbio alcuno. È l’evidenza stessa.

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