19/03/16

Neve pesante



 
Se qualcuno fosse passato dalle nostre parti nei giorni sbagliati, avrebbe pensato che quest’inverno non ha mai nevicato. E invece la neve è caduta spesso, e pure abbondante; in certe occasioni anche per alcuni giorni di seguito, con qualche pausa, ovvero per una sola giornata alla volta, ma fitta e senza remissione. Sempre però è seguito un rialzo della temperatura che nelle ultime ore  trasformava la neve in pioggia, o che non le permetteva di ghiacciare o di resistere ai bordi delle strade nelle montagnole lasciate dal passaggio degli spazzaneve o create a lato di cancelli, garage o portoni dai badili nervosi e inesperti dei privati cittadini.
E comunque era sempre neve umida, pesante, che anche quando lasciava le strade presto sgombre, si ammassava sui tetti e sul fogliame di cespugli e alberi ricoperti di edera e altri rampicanti o sempreverdi, e sui rami degli altri, soprattutto dove sono più fitti o si biforcano, opprimendoli con la sua massa pregna di acqua. Miriadi di gocce imprigionate nella rete fragile e porosa dei fiocchi, che per un po’, o anche per ore, per giorni, riusciva a trattenerle, resistendo al richiamo della gravità e anzi formando un sostegno su cui veniva a posarsi quella che continuava a scendere o sarebbe scesa il giorno dopo, fino a che il peso non avesse superato la soglia di resistenza o di equilibrio dei supporti. A quel punto di solito l’elasticità dei rami la fa slittare di lato e scivolare verso il basso, in nevicate posticipate e circoscritte, mentre a un passo c’è il sole, o l’aria grigia ma sgombra. Ma può anche capitare che il supporto si spezzi. Più l’accumulo è durato e la pressione è stata forte, maggiori sono stati i danni.
 
  
Mai come quest’anno ho visto tanti alberi sradicati dal suo peso o piegati con le angolazioni più varie. Mai ho visto tanti tronchi e rami spezzati, cespugli e rovi e canneti schiacciati a terra senza più la forza di rialzarsi. La visuale dell’interno del bosco e delle rive del fiume, o quella della palude dal ponticello o dal camminamento dell’alzaia del Naviglio, già favorita dal diradarsi invernale della vegetazione, si è ulteriormente aperta, gli spazi si sono ampliati, angoli nascosti sono venuti alla luce, i dettagli fatti più evidenti, l’insieme più preciso, il passo più propenso a rallentare e l’occhio a vagare. E il respiro è diventato più lento, e più profondo. Come di rinascita, ad accogliere l’aria fresca e lo spazio tutto attorno, ma per trattenerli dentro, senza nessuna intenzione di restituirli.

 

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