15/03/16

Una cartolina dal Camerun (da Il custode, 2)



La prima cartolina che ho conservato viene dal Camerun. L’ha spedita Giorgio nel 1988 e rappresenta le cascate del fiume Lobé. Il salto è modesto, ma il fiume appare maestoso. Forse dipende dalla prospettiva e dalla foltissima vegetazione in mezzo alla quale si fa strada l’acqua spumosa, che impediscono di farsi un’idea precisa della distanza delle sponde. La foresta si estende fino all’orizzonte, molto alto, da cui spuntano nubi grigiazzurre per niente minacciose. Alberi e cespugli approfittano di ogni centimetro di terreno per proliferare; alcuni emergono direttamente dall’acqua dove il livello è basso e si formano piccole conche che si riempiono solo nelle stagioni piovose. L’assenza totale dell’uomo e delle sue tracce conferisce all’insieme un’aura primordiale, serena. È questo del resto l’effetto che mi fa la natura quando non compaiono esseri animati. Considero gli alberi la perfezione. Sbaglio, perché anche lì è tutto uno scannarsi, ma tant’è. Comunque non è per questo che ho conservato la cartolina, e nemmeno per il messaggio maccaronico e spiritoso di Giorgio che ne evidenzia il carattere gioioso e all’apparenza un po’ superficiale, ammesso che la gioia possa essere superficiale. Meno ancora per una sua presunta dignità inaugurale, che va ascritta al puro caso: è stato piuttosto per quello che forse è un difetto di stampa, una minuscola macchia rossa che interrompe, lacera, se non insozza, il verde cupo della foresta oltre la sponda più lontana. Non so perché, ma questo dettaglio (questa imperfezione) continua a colpirmi ogni volta che torno a guardare la cartolina; dovrebbe irritarmi, e a volte lo fa. Forse l’ho conservata appunto per questo.

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