04/01/16

Un dettaglio della Pietà del Prado di Antonello. Una divagazione.


Un discorso analogo a quello del panno che protegge (da)i libri (vedi testo sulle sante che leggono libri), lo si può fare a proposito di un dettaglio della Pietà di Antonello del Prado, non molto diffuso, a mia conoscenza (non ho  fatto le opportune verifiche però). In questo quadro meraviglioso si vede un angioletto in piedi sul muricciolo su cui poggia, seduto, il corpo di Cristo, in primo piano. Cristo sembra reggersi da solo sulla schiena, nonostante la disposizione delle figure possa indurre a pensare che sia addossato a quella, così piccola, che sta alle sue spalle. L’angioletto, con il viso commoventissimo bagnato di lacrime, sembra che lo sostenga con la sua manina, tenendolo per il braccio abbandonato, la cui mano, a mio parere ancora più terribile della bocca spalancata nello spasimo della morte alla vana ricerca di un ultimo respiro, è piegata all’indietro, in ombra e quasi nascosta, dalla prospettiva da un lato e dal panno che avvolge il corpo, dall’altro. (Un’ombra, sia detto en passant, analoga a quella prodotta sulla destra dal corpo del Salvatore e dal panno bianco che copre i fianchi e il sesso, ma lascia trasparire, o suggerisce, i peli pubici: a ulteriore riprova della vera incarnazione, come direbbe Leo Steinberg.) La mano dell’angioletto ne ripete, attenuata, la postura, capovolta di segno: là passiva, frenata nella caduta, qui attiva, che la impedisce.
Tra la manina e il braccio però, è interposto il panno, solcato da una fitta trama di pieghe prodotte dalla pressione della manina, senza che però lo sforzo si trasmetta al braccio o al viso, dalle guance sì arrossate, ma credo più dal dolore che dallo sforzo. Forse perché, nonostante la straordinaria fisicità del cadavere, si vuole suggerire una dimensione anche spirituale, nella quale la fatica fisica non è contemplata? Tra l’angioletto e il corpo di Cristo non c’è contatto diretto in nessun punto e il panno azzurro (non il sudario quindi) che lo impedisce sembra fungere come un segno che indica insieme il contatto e la separazione delle due dimensioni, di un dramma che è tutto umano e insieme segna il passaggio al divino anche per chi nella dimensione umana sembra intrappolato e qui solo contempla, e nella contemplazione ha pietà di se stesso patendo assieme al dio morto e in questo lo riconosce come suo salvatore. Schermo, barriera, protezione, filtro e comunicazione: sia il panno che l’immagine.
Sotto, sbuca l’avambraccio, con le vene in rilievo come se vi scorresse ancora il sangue, giù, fino al polso spezzato ad angolo retto, e quella mano piegata all’indietro in prospettiva si direbbe inversa a quella più celebre della mano dell’Annunciata, con le dita che in un primo momento mi sono sembrate (sbagliando) degli artigli, quasi scarnificate, come il teschio messo di tre quarti che sbuca, incompleto, nell’angolo in basso del quadro forse a dettare la prospettiva da cui guardarlo. Il punto di vista della morte. Poi, dietro, sullo sfondo, subito dopo il terreno disseminato di alberi secchi e ossa del Calvario, c’è quel paesaggio mediterraneo che si distende sereno, dolcissimo, fino all’ultimo orizzonte. Il paradiso, forse.

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