30/06/15

Al ritorno ho incontrato Audrey Hepburn


Al ritorno, a Lodi, è salita sul treno una giovane donna dalla bellezza abbagliante. Bella come Audrey Hepburn. Forse di più. Con la stessa radiosità, ma senza quel suo velo di malizia. Non ho mai visto Audrey Hepburn di persona, ma è così che la immagino. Avevo le cuffie alle orecchie e un libro e una matita tra le mani. Non ho potuto fare a meno di fissarla come incantato. Lei se n'è accorta solo quando mi è arrivata davanti, ha abbassato gli occhi verso di me e ha risposto con uno sguardo sereno al mio. Sereno e benevolo, come si conviene, e è sparita alla mia destra. E subito sono spariti anche i suoi lineamenti. E' rimasto solo l'abbaglio. Quando siamo scesi, a Lambrate, ho preso la direzione opposta.

Qualche minuto prima, vicino a Piacenza, alzando gli occhi dal libro, avevo intravisto una casa isolata accanto ai binari. Davanti le passava un piccolo viale di tigli. Ne ho scorto solo un segmento. Niente di che, eppure, non so perché, per un attimo mi è mancato il fiato e una dolcezza straziante mi ha attraversato, colmandomi senza lasciare traccia.

Qualche ora prima, attorno alle 14,30, la via Emilia in centro a Reggio era completamente deserta, silenziosa come un romitaggio. L'ho percorsa lentamente, senza incrociare una macchina, un passante, come nei sogni. L'aria era lucida, quasi brillante, il cielo limpido da una parte e con qualche nube residua dall'altra, il sole molto caldo. Sotto i portici ogni tanto c'era un sedile di legno addossato a un pilastro, all'ombra. Ero molto stanco. Mi sono seduto e ho fumato, felice.

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