23/04/15

Palma il vecchio a Bergamo


 

E c'era, alla mostra di Palma il vecchio a Bergamo, a chiudere il percorso in fondo al corridoio prima delle scale, un'ennesima Giudittona, bella in carne, la pelle liscia, lattea con riflessi rosati, dipinta con l'accuratissima devozione che il pittore ha dedicato alla carne di tutte le sue donne (con la devozione che ogni pittore, anche il più ascetico, ha per la pelle del mondo: l'apparenza), con i biondi capelli sciolti ma non scarmigliati, il ricco abito scollato, forse rimesso in fretta e furia, la manica rimboccata sul braccio sinistro la cui mano tiene la barba o il mento del decapitato, mentre l'altra impugna ancora la spada, che ha trasparente, forse di cristallo, non solo l'impugnatura, ma, sembrerebbe, persino la lama, anche se, certo, sono i riflessi dell'acciaio a dare questa impressione, disposti però in modo da rendere la lama traslucida, senza tracce di sangue, e quasi smaterializzarla: a indicare la purezza sacrificale della decollazione forse? La testa di Oloferne invece è scura, non solo forse per
differenziarne la provenienza, l'etnia (la razza dicevano una volta: e avrebbe detto senz'altro anche la mite donzella che ha dovuto subire la violenza di farsi carico, proprio lei, della violenza necessaria a salvare il suo popolo), ma come per un avanzato processo di putrefazione, terrea, quasi l'avessero tenuta lì, in posa, per giorni e giorni, non tanto a beneficio del povero pittore (che immagino con una mano al naso per la puzza come uno dei due uomini che sollevano Lazzaro resuscitato in un altro quadro in mostra), quanto a beneficio del proprio popolo, quello eletto nonostante gli alterni umori del padreterno, e a scorno e minaccia per i nemici.


Ma prima, nella sala precedente, l'ultima, soprattutto c'era, scomposto, senza cornice, ma col vantaggio che così si vedevano meglio anche i pannelli superiori e la cimasa, il polittico di Santa Maria Formosa, Venezia, del 1520, con quella pietà che richiama modelli belliniani, ma bella con quel Cristo che "par che dorma" in braccio alla Madre nella stessa posa di tanti Bambini delle sacre conversazioni, le figure stagliate epicamente contro il cielo come solo sfondo, con le nuvole grigie che fuggono verso i margini mentre attorno a loro una luce pallida delinea i contorni senza entrare in contrasto con le ombre che velano i visi: di composto dolore quello della Madonna e di meravigliosa serenità quello del Figlio; 


e poi, non so se ancora più bello ma che certo ha più colpito me, con quel san Vincenzo Ferrer, con il librone d'ordinanza in una mano e la fiamma (dello spirito santo, che spesso arde sul suo capo) nell'altra: un santo visionario, confessore del papa, celebre oratore, predicatore apocalittico, profetico, in fama di eresia, indomito (oltre che uno dei facitori di miracoli più stakanovisti della storia della chiesa, con innumerevoli risurrezioni soprattutto), eppure qui con uno sguardo dolce, malinconico, e come smarrito (forse di fronte alla potenza di ciò che lo possedeva e infiammava? o per la consapevolezza che tutto comunque non sarebbe servito a niente, e però andava fatto, perché tutto va fatto, e per il meglio, per sé e per gli altri, anche se non serve a niente).



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