04/03/15

Due libri di Pascal Quignard (1992)



 Pascal Quignard, nato nel 1948, si è affermato negli ultimi anni come uno dei più importanti scrittori francesi. Romanziere, saggista, musicologo e influente consulente editoriale, ha già pubblicato una trentina di libri (11, di cui appena tre rifacimenti, nel solo 1990!), tutti differenti per stile e argomento: attività frenetica quanto molteplici sono i suoi interessi, che vanno dall'antichità greco-romana (non a caso è figlio di un latinista e nipote di un grammatico) a quella cinese, dal 600 francese in tutte le sue sfaccettature(musica, pittura, letteratura e Port-Royal) al Giappone medievale, dai giocattoli ai bonsai e ai bonbons.
 Differenziata per precisa volontà ("non posso sopportare che due miei libri si assomiglino") ma non dispersiva, nell'opera di Quignard non è difficile individuare dei nuclei che spesso vengono ripresi da un libro all'altro, così come spesso sconfinano l'uno nell'altro i generi, tanto più che lui afferma di non prediligerne alcuno e di cercare semmai "il non-genere che permetta l'integrazione del noetico, dell'affettivo, ecc." Conviene comunque distinguere: i saggi e gli otto "petits traités" concepiti come "suites barocche consacrate rispettivamente al silenzio, alla lettera, al libro, alla lingua, alla lettura, all'orecchio e alla frammentazione, al tribunale del tempo"; le "vite brevi" di personaggi spesso " minori", in modo da "cambiare i padri", dal momento che "non c'è novità se non c'è novità del passato"; vite che talvolta si trasformano in "romanzi storici" molto differenti da quelli della Yourcenar (l'ultimo è dedicato allo scrittore latino Albucius, POL, 1990, p. 235), così come i temi dei saggi li ritroviamo in romanzi come il notevole Il salotto del Wurttemberg (Garzanti, 1988, trad. di A. Rossatti, p. 288, £ 30.000), che nel 1986 lo ha fatto conoscere anche al grande pubblico, e il raffinato ma discutibile Le scale di Chambord (Frassinelli, 1990, trad. di G. Cillario, p. 280, £ 25.000).
 
                           
Gli ultimi libri di P. Quignard tradotti in italiano sono Il giovane macedone (titolo originale La leçon de musique, 1987) e Tutte le mattine del mondo, apparso dopo l'uscita del film omonimo di A. Corneau interpretato da G. Depardieu, che tuttavia da noi non sembra riscuotere il grandissimo successo di pubblico oltre che di critica incontrato in patria.
Conviene parlarne assieme perché, pur nella diversità, il secondo riprende i temi e nasce dallo sviluppo del testo conclusivo del primo. Questo infatti è composto da tre testi che indagano sulla nascita del teatro e sulla musica prendendo spunto da episodi della vita di Aristotele, del musicista cinese Po Ya e dall'ordinario di viola del Re Sole Marin Marais, che di Tutte le mattine del mondo è appunto il protagonista assieme al suo maestro Sainte Colombe. Ma mentre nel primo una scrittura stratificata intreccia la narrazione a divagazioni etimologiche, aneddoti, riflessioni e spunti lirici, dando luogo ad una struttura composita quanto compatta per la quale sarebbe difficile trovare una definizione; il secondo si presenta come un romanzo "classico", dall'impostazione lineare, scandito in brevi scene dall'andatura e dalla scrittura asciutte, quasi cronachistiche (ma di una cronaca di trecento anni fa: romanzo "classico" anche per questo, e dunque, per noi, "manierista" come molti altri testi di Quignard, che scrive sempre a partire dalla lettura), dalle quali le inflessioni patetiche che talvolta disturbavano negli altri romanzi sono come rattenute e assimilate in un tono di compostezza che non viene mai meno.
Le cronache del tempo di Sainte Colombe narrano soltanto che abbia allontanato ben presto il suo più famoso allievo per timore di esserne superato, ma che questi sia spesso tornato di nascosto sotto il capanno nel quale il maestro si esercitava per carpirne i segreti. Quignard parte da questo scarno episodio, come fa spesso nei suoi romanzi storici e nelle sue "vite", per svilupparlo dalla parte di Marais in Il giovane macedone e da quella di Sainte Colombe in Tutte le mattine...


 Il centro resta tuttavia la ricerca del segreto della musica, attorno alla quale ruotano tutti gli altri temi presenti nel romanzo e nella quale trovano una conciliazione anche i due personaggi che per il resto non potrebbero essere più diversi. Sainte Colombe è un uomo che vive isolato dal mondo, le cui simpatie verso il giansenismo perseguitato non sono forse che la naturale conseguenza di un carattere chiuso, acuito dalla scomparsa della moglie e dal rimorso di non essere stato presente al suo trapasso, ultimo atto di un amore che non aveva mai trovato modo di manifestarsi appieno. Solo nella musica infatti egli riusciva a dar voce ai propri affetti e solo la musica, ben più delle figlie alla cui educazione pure si sforza di non far mancare nulla, gli resta a consolazione della propria vedovanza. Elaborazione infinita del lutto, voce del dolore che giungerà a commuovere la morta che ne sarà talvolta indotta a visitarlo nel suo capanno. Marais invece ai suoi occhi non è che il figlio di un calzolaio che nella musica cerca solo una promozione sociale, come dimostra la sua pronta accettazione a trasferirsi a corte, che invece lui aveva sdegnosamente rifiutato. Lo considera un superficiale, dotato forse, ma che, attratto dalle lusinghe delle cose e delle persone, resta estraneo all'intensità degli affetti dalla quale soltanto può nascere la musica, anche a costo di ferire a morte chi gli si concede come farà una delle figlie del maestro. È più un esecutore di musica che un musicista: accusa in apparenza paradossale se si pensa che è rivolta ad un creatore prolificissimo da parte di un uomo del quale fino a pochi anni fa non si sapeva neppure che avesse mai composto nulla. Eppure anche Marais desidera la musica più di ogni altra cosa, anche lui, senza saperlo, sta elaborando il suo lutto, quello della muta della voce che, all'inizio della maturazione sessuale, ne aveva decretato l'allontanamento dal coro che aveva segnato l'età d'oro della sua infanzia. La gloria e la corte ne sono solo un surrogato e altro non fanno che accrescerne il rimpianto, dietro il quale tuttavia se ne cela un altro, più profondo: quello dell'epoca che precede l'infanzia, "quinta stagione" sonora che sta al di qua del soggetto e del linguaggio, perduta perché mai posseduta e tanto più irrecuperabile. Perché se "in seno alla voce umana maschile c'è una paratia che separa dall'infanzia", è con "l'impronta indistruttibile di tutto ciò che ci ha impressionati al momento di venire alla luce" che nella voce pure permane, che la musica, e ogni attività artistica secondo Quignard, cerca di mettersi in relazione per quanto né le parole né la musica riescano mai ad afferrarla. Ne resta soltanto il rimpianto.
Sarà soltanto quando la forza di questo rimpianto avrà preso il sopravvento su tutto il resto che Marais potrà incontrare quello del suo vecchio maestro e ricevere da lui la prima vera lezione. Allora potranno finalmente intonare insieme la loro musica verso quell'epoca, che J.P. Richard chiama "dell'assenza pre-originaria, del nulla anteriore all'esistenza personale": in fondo la stessa verso la quale tendono sempre anche le opere di Quignard, che proprio in questo trovano la loro coerenza, così come è dalla malinconia con la quale vi tendono che deriva, assieme alla necessità, il loro doloroso incanto.


 Pascal Quignard, Il giovane macedone, Guerini e Associati,
                   1991, trad. S. Colonna, p. 91, £ 18.000
         
                Tutte le mattine del mondo, Frassinelli, 1992,      trad. G. Cillario,  p. 113, £. 22.000

                                  

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