06/10/14

Due parole sulle facce (e sulle parole). (E sulle facce delle parole.)

 
Ogni tanto incrocio un tipo magro che mi guarda senza salutarmi, ma con la voglia di farlo, mi pare, come se mi riconoscesse e aspettasse solo un mio cenno per cominciare, e invece ogni volta se ne va senza che ancora abbiamo scambiato una sola parola. Solo gli angoli della bocca sono lì lì per piegarsi, ma si trattengono sempre; per cui magari non abbozzano neanche loro e sono solo io che me lo immagino a partire dalla contrazione negata agli angoli della mia, di bocca. Come un riflesso, non so di chi a chi. Perché anch'io lo guardo velocemente allo stesso modo, tirandomi fuori per i capelli dalle mie fantasie, nelle quali risprofondo subito però. E' che lui lo vedo solo in seconda battuta, quando già è passato.
 Quello che mi distrae dalla mia distrazione è la sua prima faccia. Perché, appena entra nel fuoco del mio sguardo, e della labile attenzione che mi suscitano i passanti, non vedo la sua faccia attuale, ma quella che aveva la prima volta che l'ho conosciuto, peraltro quasi uguale, come la corporatura. Mi capita con tanta gente, che poi recupero al presente, di solito; oppure che non recupero, perché sta bene dov'è, o perché l'attimo dopo non ci penso già più.
 Questo lo vedo con la faccia che aveva da ragazzo: ora ha una cinquantina d'anni, ma quando gli restituisco la sua età, scopro i suoi lineamenti attuali non sopra quelli di 35-40 anni fa, ma sotto, che affiorano incerti da essi, che li contengono, invece di esserne estratti come tracce, a colpi di ricordi.
E, tra l'una faccia e l'altra, affiora pian piano tutta la stratigrafia dei lineamenti nel tempo, dopo che l'ultima si è districata dalla prima. Con questo signore (se è lui; perché magari lo scambio con un altro: vedo la sua faccia uscire da quella di un altro cioè) quella decisiva è la prima, la faccia inaugurale (non l'originaria); ma non sempre è così, anche perché a volte gli strati lontani si confondono, si compenetrano tutti a creare una specie di Ur-volto composito, anziché puro. (Fenomeno curioso, dal momento che tutti gli Ur-qualsiasicosa non escono di fabbrica senza la purezza in dotazione.)

Qualcosa del genere mi capita anche, se non soprattutto, con le parole. Una volta questo mi spaventava e mi bloccava (vedere la prima occorrenza di una parola nell'ultima e poi, o insieme, tutte le altre in cui ho incocciato, dico). Temevo di non poterle fare mie, la ripetizione (la condanna alla ripetizione: alla mera, identica ripetizione). Mi sembrava che il loro strepito le contaminasse e mi impedisse di trovar loro un suono e un senso nuovo, o anche solo di farvi risuonare in qualche modo il mio accento, una mia sfumatura, senza per forza dover citare questo o quell'uso o autore e, più ancora, senza aver dovuto prima filtrare e scongiurare tutti gli stereotipi e anche il più remoto sentore di retorica. (Per esempio sentore non l'avrei mai usato: puzza di retorica ancor prima di essere pronunciato o scritto, - così mi sarei giustificato.)
 Mi capita anche adesso, ogni tanto. Ma, oggi, più spesso mi sembra una ricchezza, e sto ad ascoltarli tutti, e non solo perché sono una risorsa, ma anche perché a volte è il mio modo di ascoltarli che rende la loro ricchezza. Che rende loro la ricchezza.
Non è la nostalgia, o il rimpianto del tempo che passa, il "mono no aware"; e nemmeno il culto, o il dovere, della memoria: è come funziona la mia, di memoria.
(Con le sue ripetizioni, anche. Tanto che ora che le ho scritte, mi viene il dubbio che alcune di queste cose, almeno in parte, da qualche parte le ho già raccontate. E non so, non mi importa, se è quella prima volta che emerge in questa, o questa che dà i suoi veri connotati a quella, o se si irrigidiscono in una maschera, se cominciano a piegare gli angoli della bocca, ma poi si fermano prima del più lontano abbozzo di sorriso. Sarà utile che ci torni, almeno finché il sorriso, sia pure per un attimo, sarà sbocciato. La prossima  volta che incontro il magrolino lo saluto, giuro.)

foto 2: qui mi sono seduto per prendere l'appunto sulle facce e  le parole
foto 3: e qui, dopo 2 km, l'ho completato

Ps. Da quando mi è venuta l'idea di fotografare i posti dove mi siedo, in genere, durante le passeggiate, per scrivere un appunto, ogni scusa è buona per sedermi da qualche parte. E per prendere un appunto. (Secondo me mi sto facendo furbo.)

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