30/04/14

L’eco del corpo che si muove



 
Lo spostamento d’aria del mio corpo che cammina produce alla mia sinistra come un crepitio, la cui discontinuità dipende, credo, dalla distanza della sterpaglia e dei tronchi contro cui vanno a infrangersi le onde che ne derivano.
Può darsi che dipenda anche dalla direzione del vento, che pure è assente, secondo la mia capacità di percezione quanto meno; perché se mi sposto sulla destra, avvicinandomi al rialzo della riva, dove la vegetazione è più folta e continua, non sento niente, mentre, aguzzando l’udito, avverto ancora il crepitio, appena più attutito, a sinistra.
Se mi fermo cessa qualsiasi rumore. Prima di attribuirli al mio corpo in movimento, pensavo che i rumori provenissero dall’interno del sottobosco, da rametti e foglie che si sfregavano o da animaletti intenti ai loro traffici, ma non è così. Costeggiando una cancellata che recintava un giardino con qualche albero e un edificio al suo interno, si è prodotto uno scoppiettio come di mortaretti, ma discreti, in sordina, quasi volessero trattenersi per paura di disturbare, vergognosi, ma proprio non ce la facessero, perché contronatura è difficile andare, per le cose.
Di rimbalzo dai muri il rumore è più regolare, ritmato in accordo al mio passo, ma con minime discordanze, piccole accelerazioni, sussulti derivati forse dal passaggio accanto a una finestra o a un rientro, a una nicchia o a una porta, e dalle asperità e dai rilievi della superficie, dai materiali eterogenei di cui i muri son fatti. Contro un muro a secco di duecento metri, a prevalere è stato una specie di rullio, che in alcuni punti sembrava segmentarsi in sottoinsiemi regolari, in frammenti ritmici che ricordavano la prosodia greca. A un certo punto mi è parso di sentire, per qualche attimo, appena accennata, una frase del Bolero di Ravel.
Nel frattempo sono arrivato in paese e ho cambiato direzione, ma l’eco continua a raggiungermi sempre da sinistra; e io continuo a non capire perché. E’ la prima mattina con l’aria rinnovata: forse dipende anche da questo. Ora sono le otto, sono in giro da mezz’ora, la temperatura alla partenza era di 11 gradi, la luce bellissima e l’aria frizzante mi pizzicava le guance e il collo. Da qualche minuto invece mi sono seduto a scrivere su una panchina al sole che mi accarezza la nuca, appena tiepido di per sé, ma che scalda gradevolmente, a confronto di quanto percepito dal corpo ancora all'ombra.
Prendo la via del ritorno e i rumori persistono a giungermi sempre e solo da sinistra, anche in riva al canale, dove la superficie di rimbalzo (quella che io suppongo tale) è piuttosto distante. Allora mi viene il dubbio di essere sordo dalla destra, o di sentire meglio dalla sinistra. Però ora, mentre sto prendendo in piedi questo appunto, mi passa accanto uno e non sento nulla da nessuna parte, come se solo il mio corpo producesse rumori e rispettivi echi. Come se solo al mio movimento il mondo si degnasse di rispondere: come se io fossi aperto a sentire solo da una parte la risposta che il mondo mi invia, e, senza volerlo, a sentire solo quella.
Allora metto le cuffie: non per sentire altro, ma per non sentire più niente. 

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