Annientare (traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, La nave di Teseo, 2022) si
presenta come un grosso romanzo di impianto tradizionale che, anche grazie a
un’impaginazione agevolatrice e generosa di margini interlinea e pagine
bianche, si fa leggere senza grandi difficoltà, privo com’è di asperità di
scrittura o di riferimenti (eccetto a figure molto note nella società francese
ma quasi tutte sconosciute da noi), e di oltranzismi formali o contenutistici,
come un normale romanzo di intrattenimento scritto da un solido professionista.
Lo stile è, come al solito in Houellebecq, piano (ci torneremo); i numerosi
personaggi non macchiettistici e ben definiti, anche i secondari; i fili della
trama ben alternati e intrecciati con sagacia, anche se alcuni vengono
interrotti e abbandonati come se a un certo punto non ci sia più nulla da dire
e il lettore possa dare una conclusione da sé se proprio gli interessa; e tutti
gli ingredienti più sperimentati per stimolare curiosità e attenzione
(suspense, società e politica, sesso, saga famigliare) presenti in dosi cospicue.
Ci sono persino buoni sentimenti, momenti di dolcezza e tenerezza, relazioni
positive, figure apprezzabili per doti intellettuali e umane. E ancora bei
paesaggi, sentimento lirico della natura, romanticismo, ironia quanto basta ma
raramente spinta fino alla ferocia, cinismo con la sordina, disincanto soft,
sperimentato acume nel descrivere le relazioni sociali e umane, buoni dialoghi.
Non sembra di parlare di Houellebecq. C’è abbastanza di che deludere il suo
lettore abituale. Peggio per lui. Gli conviene resettare le attese. Houellebecq
in questo è abilissimo. Non sa che farsene di un lettore pacificato, nel
momento stesso in cui gli appronta una poltrona comoda e un ambiente con
temperatura gradevole.
Forse è qualcosa che ha a che fare proprio con l’apparente
facilità del suo stile, che è così levigato da indurre a supporre che, come
suggeriva Goethe, sia stato disseminato ad arte di “segreti palesi”, invisibili
per troppa esposizione e per assenza di marche distintive. Houellebecq stesso
lo suggeriva in un’intervista pubblicata sul Cahier de l’Herne a lui dedicato
(trad. it. Cahier, La nave
di Teseo, 2019), dove denunciava “l’estrema incultura dei critici per i
quali lo stile deve essere visibile. In Céline, per esempio, si vede il lavoro
… quindi c’è stile”. Cicero pro domo sua. E’ comprensibile. Invece in
lui, come segnala anche Valentina Sturli in Estremi
occidenti (Mimesis, 2020), lo stile “piatto” rientrerebbe in una
strategia di estremizzazione del discorso, in modo da renderlo irricevibile
così com’è, letteralmente cioè, e da costringere a cercare altro, “contenuti
inaspettati e sorprendenti, che devono essere estratti dal lettore, desunti
sulla base dello scioglimento di alcuni impliciti”. Che queste osservazioni,
valide per i libri precedenti, soprattutto i primi, lo siano anche per Annientare
mi lascia però qualche dubbio. Di estremizzazione non se ne trova tanta, o
forse è mimetizzata molto bene.
Le vicende narrate, ambientate in un futuro così prossimo
(2026-27) da non distinguersi dal presente salvo per l’assenza della pandemia e
delle sue ripercussioni, si strutturano attorno a tre filoni principali. Il
primo si presenta come un thriller a sfondo terroristico, con attentati sempre
più gravi e un uso spregiudicato della rete che denota risorse, conoscenze e
abilità informatiche superiori a quanto fino allora conosciuto persino dai
servizi segreti. La descrizione degli sforzi governativi per trovare
spiegazioni e contromisure si intreccia poi ai retroscena di una imminente
elezione presidenziale, in cui recita un ruolo importante Bruno Juge, un potente
preparatissimo e rigorosissimo ministro dell’economia, affiancato dal suo
assistente e amico, Paul Raison. Questi poi acquisisce sempre maggior rilievo
nella trama tanto da diventare il protagonista sulla cui parabola personale si
conclude la narrazione, che nel frattempo si è ampliata alla storia della sua
famiglia, riunita dall’ictus che ha colpito il padre, ex funzionario dei
servizi segreti, nelle cui carte viene trovato un documento fondamentale per
cominciare a capire qualcosa degli attentati. Tout se tient.
Oltre alla descrizione molto affascinante (e spietata in un
caso) delle azioni terroristiche, che non sono solo attentati ma anche
dimostrazioni di cosa può fare il dominio della rete e di quale potenza, ma
anche lacune, presenta la sicurezza informatica, ampio spazio viene attribuito
ai retroscena delle imminenti elezioni presidenziali, alle strategie
comunicative, e ai riferimenti al contesto francese, con i suoi schieramenti e
personaggi realmente esistenti o appena mascherati, come il citato Bruno, ispirato
all’attuale ministro Bruno Le Maire, amico personale di Houellebecq, che non a
caso, ma certo per gioco, qualifica il suo alter ego romanzesco come “il più
grande ministro dell’Economia dai tempi di Colbert”.
Ma accanto e oltre questo, Aneantir
si configura come una articolata fenomenologia della vita di coppia, struttura
portante della società minacciata da quel dissolvimento dei valori che
Houellebecq non si stanca di additare come causa e effetto della decadenza
dell’Occidente e che porterà ineluttabilmente al suo annientamento, che forse
di fatto è già avvenuto, mentre noi vivremmo il suo lento ma inarrestabile
svanire, aggrappandoci a quel poco che ci resta, chi può almeno, in particolare
all’amore a due consolidato da un buon sesso generoso e rassicurante. Rassicurante
è un aggettivo chiave del mondo come dovrebbe essere, e solo raramente è, per
lo scrittore francese, che include, in primo luogo, la donna, il cui “ruolo
tradizionale [è di] spronare gli uomini a prendersi cura di sé, specialmente
della loro salute, e più in generale rinsaldare il loro legame con la vita”,
come una brava mamma, ma ovviamente anche amante, preferibilmente dai forti
appetiti, sempre disponibile, ma altruista, attenta persino a prevenire i
desiderata del compagno, e assolutamente non aggressiva. È questo, l’amore. Che magari non salva, ma
aiuta. O che forse sì, salva. Salva il salvabile. Che poco non è.
La vita di coppia è descritta in tutto il suo spettro, sia
pure limitata al nucleo base eterosessuale (altre forme per Houellebecq non si
danno): Paul, il protagonista, sta vivendo un lungo periodo di raffreddamento,
e in pratica di totale estraneità, dalla moglie Prudence, come Bruno che preso
dal lavoro e tradito dalla moglie si riduce a vivere all’interno del ministero,
con sviluppi per entrambi che non dirò; suo padre, prima dell’ictus che mette
in moto le vicende del filone famigliare del romanzo, vive in perfetto
appagamento con una donna di modeste condizioni che lo adora, Madeleine, dopo
la morte della moglie, non particolarmente rimpiante, contrariamente al padre
di Prudence che perde ogni voglia di vivere dopo la scomparsa della sua; Cécile,
la sorella ultracattolica, ma buona, è invece felicemente sposata con un notaio
disoccupato, lui pure un brav’uomo pur essendo vicino agli ambienti della
destra identitaria più estremista (o proprio per quello? Sono idealisti in fondo,
anche se non tutti); e infine Aurélien, il fratello più giovane, legato lui sì
alla madre, fragile e sensibilissimo come non ne mancano mai in ogni famiglia
che si rispetti, che è sposato con una megera ambiziosa che lo umilia in ogni
modo, ma poi troverà, sia pure per pochissimo tempo, il riscatto di amore
insospettato. Direi che basti.
L’adulto celibe, nevrotico, depresso, arrabbiato e negativo
dei libri precedenti si sposta sullo sfondo, in personaggi secondari, lasciando
maggiore spazio ai personaggi positivi, o quanto meno non negativi, e persino
per l’amicizia, con le sue confidenze e certezze (rassicuranti).
Tra le figure positive, oltre alle donne citate, ci sono
alcuni medici, che rivestono un ruolo significativo da una parte nelle vicende
che riguardano il padre di Paul e nell’evoluzione della sua malattia, con
descrizione dettagliata di tutta la patologia e delle cure, e consentono dall’altra
di innescare varie riflessioni sulle tematiche della vecchiaia e dell’eclisse
della sua considerazione sociale e della conseguente cura da parte della
famiglia e della comunità (uno dei sintomi più evidenti della decadenza della
nostra società), sull’eutanasia (che H. considera una vergogna inammissibile,
tanto da affermare che rifiuterebbe di vivere in uno nazione che la
legalizzasse) e soprattutto sulla malattia e sulla morte, cioè sul corpo, la
sua degenerazione e il suo annientamento, in pagine a volte di grande impatto.
Paul stesso sente di invecchiare, e proprio il giorno del
suo 50° compleanno, coincidenza che forse poteva esserci risparmiata, scopre la
sua malattia, che del declino è forse il segno tangibile, anche se quella che è
la caratteristica dell’invecchiamento, il vivere di memorie e il progressivo
spegnersi dei desideri annientati dalla soggezione alla realtà e dalla logica
razionale (non dimentichiamo che Raison è il suo cognome; come quello di Bruno
è Juge), viene sorprendentemente superata grazie a un lento ma solidissimo
recupero dell’amore coniugale, che trova il suo compimento in una rinnovata e
mai così soddisfacente intesa sessuale, con il suo portato, premessa e
conseguenza insieme, di affiatamento, tenerezza e rassicurazione. Come una
piccola apoteosi del corpo nel momento della sua sconfitta.
Accanto a questo Houellebecq, come altrettanti vini e salse
e formaggi imbanditi sulla sua ricca tavola, non risparmia, sia pure di
sfuggita, tutta una serie di riflessioni su molti altri temi rilevanti per la
vita individuale e collettiva che lascio al lettore di scoprire, su ciascuno
dei quali non viene lesinato, a colpi di Pascal ed Epicuro e di
generalizzazioni che non sarebbe inutile applicare talvolta anche all’autore,
il giudizio del narratore, o di Paul che spesso ne è un diretto portavoce, ma più
morbido e meno pungente, e con qualche accondiscendenza e senso di colpa in
più. Più umano insomma. Quasi buono. Sono pochi gli aspetti della realtà che ne
vanno esenti. Immagino il loro sospiro per lo scampato pericolo.
La visione che ne risulta è a 360 gradi, o almeno a 358.
Varia e soddisfacente.
Più che un libro che anticipa il futuro per dei lettori di
oggi però, Houellebecq forse pensava di scrivere un libro per lettori futuri
che vorranno sapere qualcosa dei nostri giorni. Molte cose che a noi appaiono,
e sono, scontate, magari ridiventeranno interessanti quando non saranno più
sotto gli occhi di tutti. E questo grazie anche allo stile semplice e orizzontale
della narrazione, pulito fino all’osso, pur con eccezioni sentimentali da una
parte e provocatorie dall’altra ben distribuite a risvegliare un’attenzione a
momenti a rischio di assopimento: cioè esattamente quello che più disturba il
lettore colto odierno, che da Houellebecq si aspetta sempre altro, uno sguardo
spiazzante e sprezzante, cinismo e umorismo, estremismo nella rappresentazione
dei personaggi e delle situazioni, paradossi logici e etici. Un po’ come quando
si leggono oggi Dickens Balzac o Dostoevskij, per esempio (non si dice che il
nostro sia di questo livello, ma certo vi ambisce), che non si va tanto per il
sottile per certe pagine o approssimazioni stilistiche che fanno alzare non due
ma quattro sopracciglia ai raffinati Nabokov di tutti i tempi e si apprezza
tutto il resto. Si potranno conoscere modi di vita, sentimenti dominanti e
cliché consolidati della società attuale, con particolare riferimento alla
borghesia della società francese, che per il nostro autore equivale
all’Occidente. Ma noi leggiamo oggi e li conosciamo già. Eppure io Annientare
l’ho letto tutto fino alla fine, e, sì, lo ammetto, in poco tempo e senza
annoiarmi, trasportato dolcemente (e docilmente) dal ritmo e dal tono nel
complesso amichevole del racconto, e anche senza le tradizionali motivazioni
per andare avanti, come scoprire cosa succede riguardo agli attentati, cosa ne
sarà della moglie di Aurélien e di suo figlio, e di Cécile e del marito, e
della loro segretamente spregiudicata figlia maggiore, e di Bruno, e di
Prudence. 740 pagine. C’è qualcosa che non va in me. O qualcosa che va in
Houellebecq. Forse una cosa e l’altra.